Al giorno d’oggi si sente parlare ovunque di Smart Working (chiamato anche “lavoro agile” o “lavoro flessibile”), in TV, alla radio, su internet. Tutto merito degli effetti che il nuovo corona virus (COVID-19) ha avuto sull’intera nazione.
Qualcuno potrebbe porsi qualche domanda:
Che ruolo copriranno le persone che lavorano in questa epoca di digitalizzazione? Che risultati si avranno dai nuovi modi di pensare, produrre e scambiare beni e servizi per le politiche e gli strumenti di gestione aziendale? Come cambierà la vita delle persone che lavorano?
MA CHE COS’È LO SMART WORKING?
Lo smart working è semplicemente una modalità per svolgere il proprio lavoro. Il lavoratore in questo caso, si prenderà le sue responsabilità per ottenere i risultati richiesti dal team di cui fa parte e con cui collabora, sarà autonomo nel gestirsi gli orari e il luogo di lavoro. L’idea è quella di migliorare il “work life balance” che è il rapporto tra lavoro e vita privata, per poi raccogliere gli effetti positivi come efficacia ed efficienza dei risultati produttivi.
Questo approccio al lavoro valorizza il lean thinking come filosofia di continuo miglioramento ed è basata principalmente sulla responsabilizzazione dei collaboratori e di una particolare attenzione ai risultati.
Un ‘azienda per valutare l’adozione di questo strumento deve essere capace ad adattarsi ai cambiamenti, alle sollecitazioni del mercato e alle opportunità che la tecnologia ci offre.
Secondo Mariano Corso, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano “i benefici economico-sociali potenziali dell’adozione di modelli di lavoro agile sono enormi. Si può stimare un incremento di produttività del 15% per lavoratore, una riduzione delle assenze pari al 20%, risparmi del 30% sui costi di gestione degli spazi fisici e un miglioramento dell’equilibrio fra lavoro e vita privata per circa l’80% dei lavoratori.
COME NASCE LO SMART WORKING?
Molto tempo fa si è iniziato a parlare di telelavoro, che è il fratello dello smart working. Per telelavoro si intendeva principalmente lavorare in un posto diverso dalla sede aziendale, che la maggior parte delle volte era la casa del lavoratore. Il datore in questo caso forniva tutta la strumentazione necessaria, come il telefono, pc, connessione internet…per permettere lo svolgimento del lavoro.
Nel corso degli anni sono stati numerosi i tentativi di incentivare questa modalità di svolgimento del lavoro e, nonostante si sia cercato di disciplinarla con una normativa, non ha avuto successo.
Lo smart working quindi è nato dalla consapevolezza dei benefici che si potevano ottenere utilizzando questo metodo e con l’evoluzione tecnologica che ha e sta tuttora rivoluzionando il mondo.
Che cosa ha in più lo smart working rispetto al semplice telelavoro?
Il telelavoro e lo smart working si somigliano sotto certi punti di vista: Entrambe costituiscono prestazioni di lavoro subordinato, danno la possibilità di organizzarsi in modo autonomo e i lavoratori hanno lo stesso trattamento economico che avrebbe una persona che svolge la stessa mansione direttamente in azienda, questo spetta loro di diritto.
Lo smart working rispetto al telelavoro, punta alla valorizzazione dei risultati che si ottengono e a quelli del lavoratore, dandogli spazio di lavorare in autonomia individuale e collettiva e tirare fuori il meglio in base alle esigenze aziendali. Il datore di lavoro non necessariamente ha l’obbligo di fornire la strumentazione come succedeva nel telelavoro, per cui si potranno usare i propri dispositivi (Bring your own device – BYOD). Al lavoratore verrà riconosciuta la normale giornata lavorativa, anche se non si può avere la certezza della puntualità della prestazione. Da ricordare che bisogna mettere per iscritto l’accordo tra “lavoratore” e il datore di lavoro” prima di iniziare un’attività di smart working e, questo accordo potrà poi essere recesso con il giusto preavviso (30 giorni) per poter tornare alla modalità tradizionale.
Si può considerare lo smart working e il lavoro agile come due facce della stessa medaglia: Da un lato, le aziende devono definire e valorizzare degli standard che sono in continuo cambiamento, dall’altro lato per poter essere efficaci hanno bisogno di una cultura adeguata del lavoro. Sia i lavoratori che le imprese richiamano come competenza chiave la “resilienza”.
Come accompagnare le persone in questa trasformazione?
Ognuno ha modi diversi di pensare, obiettivi personali, capacità e competenze diverse, a volte non in linea con l’idea di business.
In un ambiente di cambiamenti continui, attenzione ai costi e alla difficoltà di organizzazione, le aziende si trovano anche a dover ricoprire ruoli in diverse mansioni per cercare di stare al passo, decidendo quindi di affidare completamente o in parte, le attività non principali all’esterno utilizzando metodi come out-sourcing e co-sourcing, di cui parleremo nel prossimo post!